L'Unwound ospita la prima delle tre date italiane dei Radio Dept., trio shoegaze pop svedese giunto al terzo album che, dopo un'estenuante attesa per la sua uscita, conferma il talento della band e, anzi, si presenta probabilmente come il loro miglior lavoro.
Pur essendo la sala molto affollata, non c'è il pienone che un evento del genere meriterebbe; il pubblico è per la stragrande maggioranza composto da studenti universitari, complice la città in cui si svolge il concerto e soprattutto la data infrasettimanale (ce ne fossero di altri eventi infrasettimanali del genere a Padova!) ed è presente un grande numero di studenti erasmus, quasi a sottolineare la portata e l'internazionalità dell'evento.
I Radio Dept. salgono sul palco armati di pochissima strumentazione: una tastiera midi e un macbook per il tastierista, una chitarra e un microfono senza alcun effetto per il cantante e una chitarra, un basso e una vasta pedaliera per il chitarrista. Gli amplificatori sono pochi e piccoli, il lo-fi regna sovrano.
Gli elementi scenici sono altrettanto minimali, solo qualche intensa luce rossa e una macchina del fumo, che rimanda ad atmosfere à la My Bloody Valentine, padri del genere.
Il breve set dei Radio Dept. inizia con “Freddie And The Trojan Horse”, direttamente dalla raccolta appena edita “Passive Aggressive”, maggiore protagonista della serata dopo i capolavori estratti dall'ultimo album “Clinging To A Scheme”, eseguito quasi per intero: “This Time Around”, “You Stopped Make Sense”, “Heaven's On Fire” e le altre sono eseguite strumentalmente alla perfezione (l'intera sezione ritmica era comunque quasi sempre affidata a loop preregistrati), gli effetti della tastiera e soprattutto delle chitarre riverberatissime creano atmosfere magiche e sognanti, anche se raramente riescono a creare i wall of sound che sarebbe stato lecito aspettarsi.
Problema che funesta tutta l'esibizione è però il dettaglio della voce, il cui volume molto basso le da un rilievo quasi insignificante, ma probabilmente è stata la soluzione migliore, vista la resa sempre piuttosto mediocre della voce in assenza degli effetti che la coadiuvano nelle versioni studio delle canzoni. Questa svista in ogni caso valorizza le atmosfere sognanti che cullano gli ascoltatori e che più di ogni altra cosa hanno reso magico il concerto.
I momenti più energici dell'esibizione, sempre mantenutasi su livelli eterei benché spesso molto ritmati, sono affidati ai due vecchi successi del primo album “Lesser Matters”: la breve, intensa e partecipatissima “Ewan” e la finale “Why Won't You Talk About It?”, che con le sue chitarre, mai così aggressive, è l'unica canzone del bis. Il concerto si chiude quindi in un'ora netta, in tempo per la mezzanotte, lasciando un po' l'amaro in bocca per la sua brevità, ma non deludendo nessuno.
Recensione a cura di Giacomo Falcon
Progetto Felix